Nutrizionista Dott. Andrea Del Seppia

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L’allattamento: il latte materno e i suoi benefici

L’allattamento: il latte materno e i suoi benefici

Riconosciuto ormai universalmente da tutte le comunità scientifiche come l’unico alimento in grado di soddisfare in maniera completa le esigenze del lattante, il latte materno risulta fondamentale per l’apporto di nutrienti e di fattori funzionali quali anticorpi ed ormoni: approfondiamo l’argomento con il nostro nutrizionista, il Dott. Andrea Del Seppia.

La composizione del latte materno è ottima per fornire al neonato i giusti nutrienti in quantità e proporzioni. Grazie alle immunoglobuline, lattoferrina, lisozima e cellule del sistema immunitario (macrofagi, linfociti e neutrofili), ha una funzione “immunitaria” verso numerosi patogeni (virus e batteri) e riduce l’incidenza di allergie alimentari in età adulta. Si tratta di un alimento sempre disponibile, fresco, alla giusta temperatura (corporea), prezioso, inoltre, anche per l’efficacia che ha sul legame madre-figlio e sul benessere psicologico che scaturisce in entrambi dalla pratica dell’allattamento. Vari studi scientifici dimostrano che, oltre alla buona salute del bambino e al suo corretto sviluppo, l’allattamento al seno riduce per la donna il rischio di cancro al seno, alle ovaie, il rischio di diabete di tipo 2 e di depressione post-parto.

Ma quali sono le caratteristiche del latte materno? Vediamole insieme…

Innanzitutto, la composizione varia da persona a persona e dall’inizio alla fine del periodo di allattamento, adattandosi alle esigenze di crescita del neonato. Per esempio, il colostro prodotto dal primo al quinto giorno di lattazione è più ricco in proteine e immunoglobuline rispetto al latte di transizione, secreto dal quinto giorno di lattazione e dal latte maturo, per la necessità del neonato di sviluppare tessuti e immunità. La composizione media comunque varia circa dallo 0.6 all’1.4% di proteine, dal 3 all’8% di grassi, dal 6.5 al 8% di carboidrati e contiene circa uno 0.2% di sali; il resto è acqua. Di contro, l’allattamento artificiale può comportare una maggiore incidenza di obesità infantile (diabete di tipo I e II), una minore resistenza alle patologie e un minore sviluppo. Nelle madri, il mancato allattamento al seno è associato a un’aumentata incidenza di carcinoma mammario in premenopausa, carcinoma ovarico, aumento di peso gestazionale, diabete di tipo II, infarto miocardico e sindrome metabolica.

Passiamo ora ai fabbisogni nutrizionali: secondo i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia) il fabbisogno energetico della nutrice in allattamento va a incrementarsi a seconda della produzione di latte che va dai 750 ml/dia agli 810 ml/dia, per cui necessiterà di un aumento dell’apporto calorico dalle 450 alle 550 kcal/dia. La quantità può variare comunque da donna a donna in base a numerosi fattori quali, per esempio, età e peso raggiunto alla fine della gravidanza dalla mamma e dimensioni del bambino.

L’allattamento: il latte materno e i suoi benefici

Parlando ora di alimentazione della mamma durante l’allattamento, risulta fondamentale tenere presente che la qualità del cibo introdotto si riflette sulla qualità del latte che verrà assunto dal lattante. Per l’allattamento valgono, quindi, le stesse raccomandazioni previste per la gravidanza. In generale, è consigliato seguire un’alimentazione varia e bilanciata composta da frutta, verdura e cereali, meglio se integrali, importanti fonti di fibra alimentare. Rispetto alla gravidanza, l’apporto calorico deve essere aumentato: si consigliano, quindi, 4-5 porzioni settimanali di legumi, fonti di proteine vegetali e fibra alimentare, da alternare a carne, pesce, uova e formaggi.

Il pesce è importante per una corretta assunzione di DHA, importante per lo sviluppo delle strutture cerebrali e retiniche.

Sono consigliate almeno 2 porzioni di pesce, fino a 3-4 porzioni a settimana, meglio se pesce azzurro di taglia piccola (sarde, alici, sgombro) piuttosto che pesci di grossa taglia come tonno e pesce spada, accumulatori di contaminanti (EFSA 2015). Per quanto riguarda i grassi è da preferire olio evo e acidi grassi essenziali che si trovano prevalentemente in semi oleosi (per es. lino, noce, mandorla e soia) e pesce azzurro.

L’allattamento: il latte materno e i suoi benefici

Tra i micronutrienti, un’attenzione particolare deve essere rivolta al calcio, presente soprattutto in latte e derivati; al ferro che troviamo, per esempio, nei legumi; alla vitamina B12 che possiamo trovare nelle uova e in pesci come salmone e sardine; all’acido folico, di cui sono ricche le verdure a foglia larga e vitamina D.

Tutta la frutta secca, ricca in acidi grassi mono e polinsaturi, potrebbe costituire un ottimo snack almeno una volta al giorno.

È importante, inoltre, mantenere un elevato apporto di acqua di cui si raccomanda un aumento di circa 700 ml al giorno, rispetto a quanto consigliato per le donne che non allattano (2000 ml).

A questo punto non ci resta che elencare gli alimenti da evitare: come quelli che possano apportare un cattivo sapore al latte, rendendolo sgradevole al lattante o causare delle tossinfezioni alimentari. Nel primo caso, sono controindicati cipolla, prezzemolo, carciofi, broccoli, cavoli e asparagi. Nel secondo caso, si sconsiglia, invece, l’assunzione di crostacei, molluschi, selvaggina e uova crude. Inoltre, se il lattante soffre di coliche gassose, evitare tutti i latticini, legumi con buccia e frutta secca. Si ricorda sempre che essere seguiti da uno specialista in nutrizione è la migliore soluzione per assicurare il giusto apporto di nutrienti e nelle quantità adeguate ad ogni singola mamma.

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Alimentazione e indice glicemico

Corretta alimentazione e indice glicemico

Uno dei parametri con cui valutare la scelta del cibo è rappresentato sicuramente dall’indice glicemico, ovvero, quel valore che misura la velocità con cui i vari alimenti fanno aumentare il livello di glucosio nel sangue (glicemia).

Intervista di Misura al Dott. Andrea Del Seppia

Approfondiamo l’argomento con il nostro nutrizionista, Dott. Andrea Del Seppia.

 

Dott. Del Seppia, può spiegarci che cos’è l’indice glicemico e perché è così importante?

Innanzitutto, l’indice glicemico (IG) ci consente di classificare un alimento in base alla sua velocità di conversione in glucosio e quindi in energia. A seconda della velocità con cui fanno innalzare la glicemia, i vari cibi vengono infatti definiti “a basso, medio o alto indice glicemico”. Ad esempio, i cereali integrali e i legumi hanno un IG basso e sono convertiti lentamente in glucosio circolante. La glicemia, in questo caso, cresce in maniera graduale e, in modo altrettanto graduale, viene rilasciata una quantità di insulina, l’ormone adibito alla riduzione dei livelli di glicemia in eccesso, che farà utilizzare gli zuccheri disponibili alle cellule: tali alimenti forniscono energia a lento rilascio e a lungo termine.
Al contrario, sostanze ad alto IG come le patate, le confetture o la frutta molto zuccherina entrano in maniera repentina nel sangue e forniscono energia immediata a breve termine poiché altrettanto velocemente l’ormone insulina ridurrà i valori glicemici.

Quali sono i fattori che influenzano l’indice glicemico?

I principali fattori che contribuiscono a ridurre l’IG di un alimento sono la compresenza di fibra, di proteine e/o di grassi all’interno del pasto o dell’alimento stesso. I cereali integrali come avena o farro, ricchi di fibre alimentari, hanno un IG inferiore rispetto al riso brillato; la pasta integrale, rispetto alla comune pasta di semola, ha un IG più basso grazie al maggiore contenuto di fibre e proteine.
Nella composizione degli amidi, che sono una tipologia di carboidrati complessi, la presenza preponderante dell’amilosio (una lunga struttura lineare) rispetto all’amilopectina (una struttura ramificata) abbassa l’IG: ad esempio, mais e patate hanno poco amilosio e quindi un IG elevato; le lenticchie, invece, hanno molto amilosio e un IG basso. Nel caso della frutta, il grado di maturazione influisce sull’IG: di norma quella acerba ha valori più bassi rispetto a quella molto matura (più dolciastra).

Anche le tecniche di cottura incidono: una bollitura prolungata degli alimenti amidacei determina un aumento dell’IG. Infatti, la pasta cotta per lungo tempo (e quindi più idratata) darà una risposta glicemica più rapida rispetto a quella data dalla pasta lasciata “al dente”; quest’ultima ha anche il vantaggio che, essendo più dura, induce a una masticazione più lenta, favorendo il senso di sazietà.

Viceversa, l’IG si riduce con la tostatura del pane e con il raffreddamento dei carboidrati: ad esempio, la pasta fredda, le insalate di riso e cereali o le patate bollite, se poi lasciate raffreddare, hanno un IG più basso rispetto a quando gli stessi alimenti vengono consumati appena cotti.

L’indice glicemico ci può permettere di dividere gli alimenti in “buoni” e “cattivi”?

Non si tratta di un parametro sufficiente poiché indica solo quanto velocemente si alza la glicemia e non fornisce alcuna informazione in merito alla quantità di glucidi. Questo valore da solo non descrive quanto è alto il picco di glucosio nel sangue, solamente quanto in fretta lo si raggiunge. Per una valutazione più completa è stato introdotto il concetto di carico glicemico (CG), che tiene conto sia della qualità che della quantità dei glucidi ingeriti. Il CG dipende dalla porzione, mentre l’IG è fisso.

Ad esempio, una pizza margherita con impasto integrale non ha un IG particolarmente elevato, tuttavia contiene una porzione abbondante di glucidi, quindi il suo CG è alto. Viceversa, i carboidrati contenuti nelle carote cotte fanno alzare la concentrazione di glucosio nel sangue piuttosto velocemente, ma una carota contiene pochi carboidrati quindi, nel complesso, ha un basso CG.

Il concetto di CG riflette l’importanza di non perdere di vista le dimensioni delle porzioni e di considerare anche l’apporto calorico totale: semplificando, se vi è un eccesso di calorie rispetto al fabbisogno, il glucosio in eccesso verrà convertito in tessuto adiposo (grasso di deposito).

Corretta alimentazione e indice glicemico

Come incide l’indice glicemico degli alimenti sul nostro organismo?

Abbiamo visto che per rallentare l’assorbimento dei carboidrati contenuti in un pasto si possono aggiungere sostanze come fibra, proteine o grassi. Nella pratica, occorre farsi guidare dal buonsenso e dalle linee guida: non è sensato aggiungere grassi in maniera smodata o incrementare eccessivamente la porzione proteica con la finalità di ridurre l’indice glicemico.
È invece raccomandabile aggiungere ad ogni pasto una buona fonte di fibra: ad esempio, scegliendo una pasta integrale cotta al dente a cui si aggiungono delle zucchine, una porzione adeguata di salmone ed un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva; otterremo un pasto a basso indice glicemico, con un rilascio graduale di energia che ci fornirà un senso di sazietà prolungato.

Un altro accorgimento per abbassare l’IG e per aumentare il senso di sazietà è quello di iniziare il pasto con una buona porzione di verdura di stagione, cotta o cruda.

Per quanto riguarda gli spuntini, si può abbinare la frutta fresca mangiata con la buccia – che è spesso edibile e ricca di fibra, purché non sia trattata con prodotti nocivi – con una piccola porzione di frutta secca che ne rallenta l’assorbimento, oppure accompagnare un estratto o centrifugato di verdura e frutta con un paio di cracker integrali.

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L’acido folico in gravidanza

Folic acid in pregnancy

L’Acido folico e le sue proprietà: dagli alimenti che lo contengono naturalmente fino all’importanza di assumerlo prima e durante la gravidanza.

Intervista di Misura al Dott. Andrea Del Seppia

Scopriamone di più con il nostro nutrizionista Andrea Del Seppia.

Dott. Del Seppia, che cos’è l’acido folico?

È un micronutriente essenziale che fa parte delle vitamine del gruppo B. È noto anche come vitamina B9 e più genericamente è inserito nel gruppo di composti che rientra sotto il nome di folati, ovvero, quei composti che presentano la struttura base dell’acido folico e che sono naturalmente presenti negli alimenti; mentre con il termine “acido folico”, o acido pteroilmonoglutammico, s’intende la molecola di sintesi che troviamo negli integratori alimentari e negli alimenti cosiddetti “fortificati”, come alcuni cereali da colazione.

Qual è la sua funzione e perché è così importante in gravidanza?

È essenziale per lo svolgimento di numerosi processi fisiologici di crescita, metabolismo e differenziazione cellulare. Nel nostro organismo, partecipa a processi di sintesi degli acidi nucleici (DNA e RNA), di alcuni amminoacidi (da cui le proteine) e dei globuli rossi (quest’ultima azione viene svolta in sinergia con la vitamina B12 ed il Ferro).

Come si può assumere e in che quantità?

Come per le altre vitamine, l’acido folico è un nutriente essenziale e non viene sintetizzato internamente dal nostro corpo, ma deve essere introdotto con l’alimentazione quotidiana. Una dieta varia ed equilibrata, che apporta almeno due porzioni di verdura fresca e tre porzioni di frutta, può sopperire alle richieste giornaliere di folati. Tuttavia, sono frequenti i casi di carenza, sia per la poca stabilità della molecola all’interno degli alimenti, sia per alcune scelte alimentari sbagliate. Ci sono, quindi, alcuni casi in cui è necessario tenere sotto controllo l’assunzione di folati dalla dieta e aumentarne l’introito tramite gli integratori alimentari. Uno di questi casi è proprio la gravidanza: secondo i LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti), l’assunzione raccomandata di acido folico per la donna in età fertile, che preveda o non escluda una gravidanza, è di 400 mcg/die, a partire da almeno un mese prima del concepimento, per poi assumerne una quantità pari a 600 mcg/die, almeno per i primi tre mesi di gestazione.
Durante l’allattamento, il fabbisogno rimane aumentato a 500 mcg/die per sopperire alle perdite dovute all’allattamento stesso. Esistono poi delle situazioni “di rischio” per le donne che hanno malformazioni congenite familiari, patologie gastro-intestinali o da malassorbimento, o che hanno avuto precedenti di aborti ripetuti o problematiche fetali: in questi casi il dosaggio di acido folico può aumentare fino ai 4-5 mg/dia.

Ci spieghi meglio la funzione dell’acido folico durante la gravidanza e l’importanza della sua supplementazione, oltre ai rischi che possono derivare dalla sua carenza…

L’importanza della supplementazione con acido folico per la donna è dovuto proprio al suo ruolo importante nella sintesi di proteine, DNA, RNA ed emoglobina del sangue. Una carenza può comportare la comparsa di numerose problematiche al feto, quali nascite premature, neonati sottopeso, ritardi mentali e difetti al tubo neurale (da cui spina bifida, anencefalia ed encefalocele). È stato dimostrato che l’assunzione di acido folico prima del concepimento riduce fino al 70% il rischio di comparsa di difetti del tubo neurale. Può capitare, purtroppo, che durante il primo mese di gravidanza, quando vengono a formarsi cuore, stomaco e sistema nervoso del feto, una donna non si accorga di essere incinta. Quindi, è molto importante iniziarne l’assunzione proprio nel momento in cui si pianifica la gravidanza.
La carenza può indurre anche ad alcune forme di anemie nella madre. Per prevenirle, spesso la supplementazione di acido folico è accompagnata a ferro e vitamina B12, i quali agiscono in sinergia con l’acido folico per la corretta formazione dell’emoglobina. La vitamina B12, presente prevalentemente in alimenti di origine animale (come fegato, reni, pesce, uova, carne e formaggi), agisce in sinergia con i folati anche nella formazione del DNA. Una sua carenza può a sua volta indurre carenze di folati.

E quali sono le sue maggiori fonti alimentari?

Gli alimenti naturalmente più ricchi di folati sono le verdure a foglia larga (dal cui nome “folium” deriva proprio il termine “folato”), come i carciofi, i broccoli, gli asparagi, gli spinaci, la lattuga e l’indivia; ma possiamo trovarli in abbondanza anche nel lievito di birra, nel fegato, nei legumi (fagioli, piselli e ceci), nelle uova, nelle arance, nei kiwi, nelle fragole, nelle noci e nel muesli. Molto ricchi di folati sono anche i latti fermentati come, per esempio, lo yogurt e il kefir. Uno studio recente ha dimostrato, inoltre, che i latti fermentati ricchi di folati sono in grado di aumentare significativamente il livello di emoglobina nel sangue.

Ci parli del comportamento dei folati in cucina…

Sono presenti in quantità superiori negli alimenti di origine vegetale, ma sono molto meno stabili e digeribili rispetto ai folati presenti negli alimenti di origine animale. I folati, infatti, sono vitamine idrosolubili e quindi facilmente “lavabili” via con l’acqua dagli alimenti, oltre a essere anche sensibili alla luce e al calore. Si stima che la cottura e la conservazione dei cibi può dar luogo a perdite dal 50 fino al 95% della molecola.

Alcune strategie possono però migliorare la conservazione e la stabilità dei folati presenti negli alimenti. Per esempio, si consiglia di evitare dei lunghi ammolli prima di cuocere l’alimento soprattutto se le verdure sono state tagliate molto finemente. È consigliata la cottura a vapore rispetto alla bollitura, specialmente se prolungata. Anche le cotture a pressione e a microonde sono preferibili alla bollitura prolungata.

Nei casi in cui si utilizzi comunque quest’ultimo metodo, si consiglia di non buttare l’acqua di cottura, dove vengono rilasciati i folati, ma di utilizzarla per zuppe o sughi. È consigliato anche l’utilizzo del coperchio per evitare ulteriori perdite e salare a fine cottura. Di contro, la patata, nonostante sia un alimento povero di acido folico, mantiene i suoi bassi livelli nonostante una cottura spinta.

La presenza di antiossidanti (come l’acido ascorbico o vitamina C e polifenoli) presenti in frutta e verdura fresca (per esempio arance e kiwi) può limitare la degradazione del folato presente. Si è visto che l’aggiunta di acido ascorbico durante la cottura può ridurne la perdita. Il congelamento è comunque il metodo di conservazione più consigliato. Per le verdure è meglio congelare la foglia intera piuttosto che la pianta sminuzzata. Per evitare ulteriori perdite di folati, instabili alla luce, si consiglia infine di conservare l’alimento al buio.
La stabilità dei folati aumenta negli alimenti di origine animale: il metodo di cottura da prediligere in questo caso è il fuoco diretto, per esempio, la cottura alla griglia. I folati presenti nel fegato sembrano essere tra i più resistenti a questo tipo di cottura.

Un’ultima curiosità: gli spinaci tritati presentano maggiore quantità di folati rispetto alla foglia intera.

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Come mettersi a tavola con la giusta Misura…

Andrea Del Seppia

In un mondo in cui i consigli nutrizionali vengono proposti ovunque, risulta difficile riuscire a distinguere le informazioni veritiere da quelle ingannevoli e capire quali sono gli elementi davvero importanti per seguire una dieta bilanciata. Spesso, mancano le nozioni di base per avere un’alimentazione equilibrata e questo si ripercuote sulla salute.

Intervista al Dott. Andrea Del Seppia, a cura di Misura®

Approfondiamo l’argomento con il nostro nutrizionista, Dott. Andrea Del Seppia.

Dott. Del Seppia, la nutrizione è una scienza complessa e in continua fase di studio, ma vi sono dei capisaldi ben definiti e validati da tempo, ce ne parla?

La scienza non si fonda su pareri, ma su dati affidabili, e anche in campo dietetico vi sono evidenze che permettono di estrapolare consigli generici validi per la popolazione, in generale. Capita spesso di veder attribuite proprietà miracolose a qualche frutto esotico o di leggere che una determinata categoria di alimenti costituisce un “veleno” se inclusa nell’alimentazione quotidiana. Alcuni cibi sono particolarmente protettivi per il nostro organismo, mentre altri, se consumati in eccesso, possono risultare dannosi. Tuttavia, capita spesso di imbattersi in affermazioni estremistiche che possono far perdere la visione globale di cosa sia realmente importante nel contesto di un’alimentazione bilanciata. Se non consideriamo il panorama in cui viene assunto, nessun alimento funge da panacea per ogni male.

Cosa significa, dunque, seguire una dieta bilanciata?

La nutrizione non è solo lo strumento per soddisfare i fabbisogni energetici giornalieri, ma uno dei fattori che permettono di vivere in un buono stato di salute prevenendo carenze nutrizionali. Un’alimentazione adeguata deve includere tutti i nutrienti nelle giuste quantità e non deve considerare solo le calorie (una misura meramente quantitativa), ma tenere conto di valutazioni qualitative degli alimenti e di una buona bilanciatura dei macronutrienti.

Mangiare in modo equilibrato significa nutrirsi in maniera varia, non monotona, senza esclusioni immotivate di determinati alimenti. Implica anche un corretto appagamento del palato, una sana convivialità, l’equilibrio dei fattori psicologici connessi al cibo, senza tralasciare fattori di natura economica e organizzativa. Un’alimentazione equilibrata è rappresentata da un modello che sia sostenibile nel lungo termine e che concretizzi l’origine greca della parola “dieta”: modo di vivere.

 

Quali sono i cardini di un’alimentazione corretta?

I Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN, IV Revisione, SINU 2014) forniscono dei parametri che permettono di formulare indicazioni salutistiche in ambito alimentare. Queste linee guida danno dei range di valori e non dei valori fissi, includendo un margine che tiene conto della variabilità dei fabbisogni di ognuno.

Non esiste un piano alimentare perfetto, standardizzato e ideale per tutti gli individui in salute: sarà compito del professionista della nutrizione erogare un intervento dietetico personalizzato in base alle specifiche condizioni individuali. I fabbisogni energetici dipendono dalle differenti esigenze fisiologiche personali (statura, attività fisica, età, ecc.), sono espressi in calorie e vengono soddisfatti dall’apporto di macronutrienti: carboidrati, proteine e grassi.

Mediterranean diet

Tra il 45 e il 60% del fabbisogno energetico giornaliero deve essere soddisfatto dall’apporto di carboidrati, spesso demonizzati immotivatamente: in realtà costituiscono una fonte energetica indispensabile per il corretto funzionamento del nostro organismo dai muscoli al cervello.

Bisognerebbe prediligere cereali integrali (farro, orzo, pasta integrale, farine integrali) e pseudocereali (grano saraceno, quinoa), legumi e condire la comune pasta di semola con abbondante verdura. Il consumo di zuccheri semplici, invece, non dovrebbe fornire più del 15% dell’apporto energetico totale.

Tra le fonti di zuccheri semplici, è appropriato preferire quegli alimenti “indispensabili” come la frutta e la porzione consigliata di latticini o sostitutivi, ad esempio una porzione di yogurt a colazione o merenda. La fibra alimentare è una componente dei vegetali che non digeriamo (quindi ha un apporto calorico prossimo allo zero) ma che esplica – se assunta nelle quantità adeguate – azioni benefiche principalmente a livello dell’intestino e del senso di sazietà. Verdura cotta e/o cruda, frutta, cereali integrali, legumi e frutta secca garantiscono un buon apporto di fibra: occorre assumerne minimo 25 grammi al giorno.

L’apporto medio giornaliero di proteine nell’adulto sano può variare tra 0.9 e 1.1 grammi per chilo di peso corporeo, da incrementare in caso di aumentato fabbisogno come durante la crescita, in stato di gravidanza o nel caso di attività fisica intensa. Le fonti proteiche, nell’arco della settimana, vanno alternate tra pesce, legumi (i quali, oltre a carboidrati, contengono anche una buona quota proteica), carni magre, uova, latticini, eventuali prodotti derivati dalla soia, affettati magri e, in maniera più ridotta carni rosse, elaborate e salumi.

Mediterranean diet

I lipidi, o grassi, non devono fornire più del 30% delle calorie giornaliere. Questa percentuale non deve scendere al di sotto del 20% delle calorie totali per non creare squilibri. Nelle scelte quotidiane si consiglia l’utilizzo di olio extravergine d’oliva come principale condimento e di limitare le fonti di grassi saturi come burro, panna, salse ricche di grassi, olio di palma, carni grasse e formaggi. Occorre assicurarsi la presenza di alimenti ricchi di lipidi polinsaturi come il pesce d’acqua fredda o la frutta secca, in particolare le noci. Da limitare anche fritture e margarine vegetali.

Se dovesse consigliare una dieta in linea con questi parametri quale sarebbe?

Nel 2010 la Dieta Mediterranea è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Il modello mediterraneo non si riferisce solo a ciò che mettiamo nel piatto: non si tratta di una serie di alimenti, bensì di un insieme di “competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti la coltivazione, la raccolta, la pesca, l’allevamento, la conservazione, la cucina e soprattutto la condivisione e  il consumo di cibo” (UNESCO, 2010).

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Il cibo come fonte di benessere

  • Dott. Andrea Del Seppia

    Nutrizionista

Collaborazione sulla nutrizione con Misura

Da Gennaio 2019, il Dott. Andrea Del Seppia diventa il nutrizionista di riferimento del brand Misura. Accompagnerà per tutto l'anno i social Misura, fra consigli, rubriche e curiosità che avranno come unico scopo il benessere legato alla nutrizione.

 

Percorso professionale del Dott. Andrea Del Seppia

Nutrizionista clinico e sportivo, il Dott. Andrea Del Seppia è responsabile del servizio nutrizione clinica e dietetica presso la casa di cura Malatesta Novello, a Cesena (ospedale privato accreditato).

Quando ancora non aveva conseguito la Laurea in Scienze dell’Alimentazione, Andrea seguiva già due grandi passioni, lo sport e la sana alimentazione. Calciatore di formazione, appende gli scarpini al chiodo per lanciarsi tra i sentieri dell’Appennino emiliano in sella alla mountain-bike e tornare poi verso il mare per lasciarsi conquistare dalla tavola da surf con la quale, non appena gli impegni professionali lo consentono, scende in acqua tra le coste italiane e quelle della Spagna, sua seconda patria di adozione.

L’interesse per l’alimentazione sana e naturale lo porta dapprima a conseguire la Laurea triennale in Scienze degli Alimenti presso Alma Mater Studiorum Università di Bologna e nel 2011 a specializzarsi con la Laurea Magistrale in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia.

 

All'attività di nutrizionista in diverse cliniche, dove si occupa del trattamento nutrizionale di tutte le patologie correlate all’alimentazione, affianca l'attività di nutrizionista sportivo per aiutare atleti di diverse discipline alla massimizzazione della prestazione sportiva.

 

Attualmente, è responsabile dell’area nutrizione del Perugia Calcio e nutrizionista personale di diversi atleti professionisti, tra cui il pugile Matteo “Il Giaguaro” Signani, campione intercontinentale WBA dei pesi medi nel 2015.
Il Dott. Andrea Del Seppia è iscritto all’Ordine Nazionale dei Biologi sezione A.

Andrea Del Seppia

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